IL FIGLIO NICOLA

Io mi commuovo
quando mi trovo
a ricordare
le doti rare
che al figliuol mio
diede il buon Dio.
Che calda voce!
Assai precoce
in lui bambino,
ma già un omino,
entusiasmava
chi l’ascoltava.
Essa in un coro
poi, ben tornita,
con gran decoro,
s’era inserita.
E che canzoni!
Belle parecchio
se le creava
e poi cantava
sempre ad orecchio.
Che dolci suoni
dalle chitarre
sapeva trarre!
E le sue borse!
Senza alcun forse
eran più belle
ancor di quelle
che puoi trovare
molto più care,
ma meno fine,
nelle vetrine.
E i suoi lavori
in ferro e legno!
Li progettava

e, con impegno,
realizzava
capolavori
ch’eran di certo
da artista esperto
Quant’altre doti
al figliuol mio
diede buon Dio.
Eran ben noti:
il suo sorriso
dolce nel viso,
gentil l’aspetto
senza il barlume
di alcun difetto,
pronto l’acume,
sincero il cuore,
uso al dolore,
nel far tenace
il dir verace,
e per finire
retto il sentire.
Or io mi chiedo,
e al dubbio cedo,
perché il Signore,
che, con amore,
tanto gli ha dato
l’ha poi chiamato
giovane ancora,
in Sua dimora?
Quale progetto
nella sua mente
era immanente
proprio per lui
sì prediletto?
Col suo soffrire

oltre ogni dire,
forse a proteggere
la fede altrui
egli era stato
già destinato?
Non so davvero.
E’ un gran mistero
nel quale, adesso,
non mi è concesso
di penetrare.
Devo aspettare.

O mio Nicola,
il mio pensiero,
colmo d’amore,
spesso a te vola,
ed io sol spero
che tu l’afferri
e lo rinserri
dentro il tuo cuore

Ti penso vivo,
gagliardo e sano,
che vai giulivo,
man nella mano,
con Antonella,
la sposa bella
che, innamorato,

hai tanto amato.
Ti vedo giungere
di sera a casa
e lì raggiungere
lei, che pervasa
d’amor, t’attende
con un sorriso,
che sul bel viso
radioso splende.
Vedo che al petto
la stringi e baci
con gran diletto,
felice e taci.

Ti vedo impavido
che corri avido
di ritrovare
la casa al mare
che tu hai voluto
tutta per voi,
dove hai vissuto,
ben dir lo puoi,
in cuor contento

e spesso intento
a quel lavoro
in ferro e legno
che ti allietava,
poiché ti dava
pace e ristoro.

Salire a bordo
del fuoribordo
lieto ti vedo
e ben m’avvedo
che sei ansioso
desideroso,
d’andare a pesca
con amo ed esca.

Penso ripenso
e il duolo è immenso
a tutto quello
che, senza appello,
hai tu lasciato
così, d’ un fiato,
So che felice,
è il cuor mel dice,
tu sei lassù
dove mai più
potrai soffrire,
dove c’è posto
sol per gioire.

Deh! vieni tosto
da me, Nicola,
vieni e consola
il cuore che spera,
da mane a sera,
da te volare
con te restare

Ma come oso
sperare tanto!
Tu sei entrato
in ciel da santo,
io dal peccato,
dal dubbio eroso,
che posso fare
se non sperare?

O mio Nicola,
chi mi consola
nel dubbio atroce
che il cuore addenta
e mi tormenta?
Mamma mi dice,
spesso a gran voce,
che ormai felice
sei in Paradiso,
dove d’un fiato
tu sei volato,
senza sostare,
neppure un poco,
dov’arde il fuoco
purificante,
corroborante,
per espiare
i tuoi peccati,
che ti son stati
tutti rimessi,
a saldo messi
del tuo patire.
Che posso dire?
A volte io credo
a quel che dice
e son felice,
ma a volte cedo
al dubbio nero
e mi dispero.
Or tu soltanto,

Nicola mio,
pregando Dio,
puoi in me fugare,
come d’incanto,
ogni incertezza.
Tu lo puoi fare
e in me la fede,
di chi già crede
nella salvezza,
tornar vedresti.
Fa’ ch’io m’appresti
ad affrontare
la dipartita
da questa vita,
senza fiatare,
come hai tu fatto,
e che, d’un tratto,
possa ottenere
e anch’io godere
d’una assai piena
pace serena.

Nicola, ascolta;
già un’altra volta
t’ho supplicato.
triste e angosciato,
di consolarmi,
di non lasciarmi
tanto a soffrire,
senza venire
in mio soccorso.
Io ho il rimorso,
non mai sopito,
né affievolito
dentro il mio cuore,
d’aver l’amore
sincero e schietto
sotto ogni aspetto,
per te taciuto,
(qual fossi muto),
così nascosto,
come riposto
in quarantena,
svelato appena.
Ed ho il rimorso
d’aver trascorso
da te lontano,
direi da insano,
pur fra gli onori,
gli anni migliori
della mia vita,
or sì sfiorita.
Avrei potuto,
avrei dovuto,
non me ne vanto,
far più di quanto
non abbia fatto,
sempre distratto

dal mio lavoro,
verso coloro,
te pur compreso
così indifeso,
che trascuravo,
pur se li amavo,
per lunga assenza
per negligenza.
Avrei potuto,
avrei dovuto
starti da presso
ancor più spesso,
in ospedale,
là dove il male
ti torturava
e ti portava
pallido e roco,
a poco a poco,
per triste sorte
verso la morte.
Non ho saputo
e avrei dovuto
te confortare
e alleviare
con tenerezza
e con dolcezza,
lo devo dire,
il tuo soffrire.

Con cuore contrito
e annichilito
or mi ravvedo
e solo chiedo
con umil tono
il tuo perdono.
Lo spero tanto
Tu che sei santo
non puoi non darlo,
non puoi negarlo

O mio Nicola,
ciò che consola
l’animo mio

è che il buon Dio
t’ha reso degno,
nel suo disegno
di Creatore
pieno d’amore,
d’avere il serto,
ne son ben certo,
che è riservato,
se meritato,
soltanto ai Santi
che non son tanti.
Ormai tu assiso
in Paradiso,
lo stai a guardare
e contemplare
con gran dolcezza,
la Sua bellezza.
E sei felice;
ben me lo dice
questo mio cuore,
dove il dolore,
già così forte
per la tua morte,
pian piano s’ acqueta,
pur se non lieta
la tua scomparsa
ha reso arsa,
molto intristita,
la nostra vita.
So che vicino
ci sei, e perfino
che con amore
scruti nel cuore
d’ognuno di noi.

pur se non puoi
a noi svelarti,
a noi mostrarti
or io ti prego:
con un diniego
non ci lasciare,
non far mancare
il tuo conforto,
poiché, non morto,
ma ancor vivo
sei, e non privo
del nostro affetto,
solido e schietto.

Nicola mio,
perché il buon Dio
ha te voluto,
giovane e forte,
portar con sé
in un afflato,
mentre ha ignorato,
per mala sorte,
chi, come me
ha già vissuto
la propria vita,
che sol finita
è d’uopo ormai
considerare?
Tu ben lo sai,
ma la risposta
non puoi tu dare,
non t’è permesso;
il nulla osta
non t’è concesso.

Io chiedo ancora;
perché il buon Dio
il figliol mio
ha convocato
nella dimora
d’angeli e santi
ed ha lasciato
me in questo mondo,
dove, errabondo
vago e dispero?

Non son già tanti
gli anni trascorsi,
coi miei rimorsi?
Cos’altro spero?
Perché il Signore
che è pien d’amore
or non mi chiama

Egli che ama
le sue creature
anche se impure?

Forse egli aspetta
che sia ben netta
l’anima mia
di quei peccati;
che sono tanti
molto pesanti,
accumulati
lungo la via?

O mio Nicola,
questa è la sola
risposta schietta,
chiara e ben netta,
al mio quesito.
Io porto il dito
sopra la piaga
ed ora è paga
questa mia mente,
che, inconsciamente,
a ciò pensava
e si turbava.

Or so che fare.
Non più restìo
prego il buon Dio
che il confessore
poss’io affrontare,
senza rossore,
e avere in dono
il suo perdono.

O mio Nicola,
spesso a te vola
il mio pensiero
e mi dispero,
giacché il dolore
dentro al mio cuore
è ancor sì sordo.
Io ben ricordo
gli ultimi istanti,
così scioccanti,
della tua vita
che, già sfiorita,
ti abbandonava,
mentre aleggiava
dolce un sorriso
sul tuo bel viso
trasfigurato,
già proiettato
verso la luce
che a Dio conduce.
In quel momento,
ben lo rammento,
mesto e confuso,
mi sono illuso
che a me rivolto
fosse il tuo volto
a perorare,
ad invocare,
pronto un aiuto.
Niente ho potuto,
se non nel pianto
sfogare, soltanto,
senza pudore,
il mio dolore,
mentre a gran voce
con strazio atroce,
non so dir come,
il tuo bel nome
io ripetevo,

e in cor chiedevo
solo al Signore
con grande ardore,
che ti aiutasse
e ti serbasse
al nostro affetto.
Ma il Suo progetto
era diverso,
ed io ho perso
ogni speranza,
pur se, in sostanza,
Egli ha ascoltato
il mio accorato,
supplice voto
e ha messo in moto,
alla tua morte,
una coorte
d’Angeli e Santi
che, osannanti,
t’hanno guidato
e t’han scortato,
già mondo e netto,
al Suo cospetto,
là nel Suo Regno.
N’eri ben degno.
Ciò mi consola,
o mio Nicola,
ma il dolore
qui nel mio cuore
per la tua morte
è sempre forte,
struggente ancora,
come era allora.

O mio Nicola
non c’è parola
che possa dire
quanto fu immenso
il tuo soffrire.

Più ci ripenso
e più il dolore
stringe il mio cuore
come una morsa.
Fu una rincorsa
fra te e la morte,
che fu più forte
e ti portò via,
anche se breve
e molto lieve
fu l’agonia.
Il duolo è immenso
quando ripenso
a qual sorriso
lieve sul viso,
con cui guardavi
me con dolcezza,
mentre la mano
stringendo piano
con tenerezza
tu mi baciavi.
Il duolo è immenso
quando ripenso
ai tuoi capelli,
lucidi e belli,
che accarezzavo
con tenerezza,
mentre guardavo
con bocca amara
pien di tristezza
te nella bara.

O mio Nicola
che ci hai lasciato
e sei volato
in Paradiso
dal morbo ucciso,
vieni e consola
il nostro cuore,
dove il dolore
è ancor presente,
sempre più ardente.
Vieni e conferma,
con voce ferma,
in noi la speme
che un giorno insieme,
come già allora,
saremo ancora.
È sempre intenso
in noi il ricordo,
(Se a ciò io penso
la lingua mordo
per il gran duolo),
di quando pallido,
e spesso solo,
su un letto squallido
dell’ospedale,
giacevi e il male
senza un lamento
quasi contento
tu sopportavi.
Tu prova davi
di gran coraggio
nell’affrontare
senza fiatare
il gran passaggio.
Noi non potremo
giammai scordare
(e come fare?)
l’attimo estremo
della tua vita

che a te è sfuggita
così d’un tratto.
Tu hai inver pagato,
col tuo soffrire
oltre ogni dire,
certo il riscatto
del tuo passato.
Ed hai ben visto
in quel momento,
con il sorriso
sul tuo bel viso,
il dolce Cristo
che ci ha redento.
O mio Nicola,
questo è il pensiero
che ci consola:
saper che è vero
che ormai tu siedi
del Cristo ai piedi.

Il tempo scorre
e già decorre
l’anniversario
del tuo calvario,
del dì fatale,
allor che il male,
che in te covava
e ti minava,
ebbe la meglio.

Al mio risveglio,
stamane, ho pianto,
scosso ed affranto
da quel dolore
sì forte in cuore,
che, ancor tenace,
non mi dà pace.

E al cimitero,
là dove spero
giacerti accanto,
ho ancora pianto
senza ritegno.

Non mi rassegno
a non vederti,
a non poterti
mai più abbracciare.

Che ci sto a fare
in questa vita
così intristita?
Perché il buon Dio
è ancora restìo
a darmi ascolto?
Sofferto ho molto;
perché, se mi ama,
non mi richiama
al Suo cospetto?

Io prego e aspetto
che si commuova.
Forse Egli trova
che non son pronto
a render conto,
stolto ed ingrato,
del mio operato,
e attende un segno
ond’io sia degno,
com’or non sono,
del Suo perdono.

O mio Nicola,
mamma soltanto,
di tanto in tanto,
la tua parola
può ben udire.
Ciò che vuol dire?
Vuol dire che a noi
forse non puoi
comunicare
e confidare
ciò che vorresti?
Proprio codesti
sono i dettami
che ti son posti?
Che, pur se brami
a noi parlare
solo a chi crede
con molta fede,
lo puoi tu fare?
Allor io spero,
con cor sincero,
che, in avvenire,
io possa credere
con fede intensa
senz’altro chiedere
se non sentire.
O mio Nicola,
d’amor densa
la tua parola.

Tre anni or sono,
senza frastuono,
senza un lamento,
quasi contento,
con un sorriso
dolce sul viso,
tu ci hai lasciato
e sei volato
lassù nel cielo,
là dove anelo
anch’io venire,
per non soffrire
di quel dolore
fitto nel cuore
ch’è ancor si intenso.

Spesso a te penso
con nostalgia,
ovunque io sia.
Vorrei vederti
vorrei sentirti,
vorrei ascoltare
(ma come fare?)
la tua parola,
anche una sola,
non di riflesso,
sì come adesso,
ma a me rivolta,
come una volta
quand’eri in vita,

chiara e nutrita.
Fa ch’io ti senta;
certo non spenta
è la tua voce,
che può veloce
or più possente,
or più suadente
a me arrivare
per consolare
l’animo mio.

Fa che pur io
sappia ascoltare
e meditare
attentamente,
sgombra la mente
da preconcetti
aridi e gretti,
i tuoi messaggi,
che pur son saggi
di luce densi
che tu dispensi
con tanto amore
diretti al cuore
di chi in te crede
con tanta fede.
Ne sono degno?
Attendo un segno
che mi conforti
e pace apporti,
sì che il tormento,
che in cuor io sento,
cessi d’incanto.
Lo spero tanto.

O mio Nicola,
il tempo vola
ed io mi appresto,
vigile e desto,
pur se ne tremo,
al passo estremo
della mia vita,
che, ormai sfiorita,
senza uno scopo,
spero per poco,
or si trascina
verso una china
senza alcun fondo,
dov’io sprofondo.
Dammi tu aiuto;
fa’ sì che acuto
non sia il dolore
dentro il mio cuore
allor che addio
dirò pur io,
triste, a coloro .
che inver mi onoro
d’amar sì tanto
che mai nel pianto
vorrei lasciare.
Oso sperare
che tu, nell’ora
che si scolora,
tosto rivolga,
perché l’accolga,
a Dio un’ardente,
calda preghiera,
perché una vera
pace Egli dia
all’alma mia.


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